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Vera Ambra fu prima lettrice di poesia. Si guardava attorno, vedeva la realtà vedeva vivere sé stessa, rifletteva a lungo, quindi ritornava alle sue letture: per rivivere la realtà in una dimensione più autentica, e certamente più alta.

A TE MANO DEL TEMPO

 

 

     Vera Ambra fu prima lettrice di poesia. Si guardava attorno, vedeva la realtà vedeva vivere sé stessa, rifletteva a lungo, quindi ritornava alle sue letture: per rivivere la realtà in una dimensione più autentica, e certamente più alta. Poi fu autrice di poesia, cioè protagonista della sua duplice realtà, quella vissuta sulla sua pelle e quella trasferita sulla pagina bianca; ora rutilante come una dea di Walhalla, ora imperturbabile come una divinità olimpica; ora, ma sempre con un lieve sorriso sulle labbra. Il sorriso maturo dell’ironia. In una delle sue prime prove, Fiammiferi, scrive di sé nel risvolto: “Questa nuova raccolta si muove dall’intimo e si traduce in allusive immagini che spaziano nell’essenza segreta di un mondo dove si conciliano vita e sintesi poetica”.

È rutilante Valkiria in

 

A te mano del tempo

il processo delle streghe

alla porpore che di sangue

scorre trafiggendo la spada

che ferisce senza toccare

È imperturbabile divinità olimpica, col sorriso dell’ironia in:

 

Amico ho un presentimento

che l’ombra si cancelli

senza lasciare traccia

perfino la memoria scompare

e ci si spegne anche nella luce

La fiamma di candela è lieve

ma arriva fino al cielo

 

E infine di editrice di poesia. E chiamò tutti i suoi amici, da un estremo all’altro dell’Italia, a far sentire la loro voce di volontari d’Apollo nel nome di una più connaturale, in una sfera superiore, in una misura d’uomo aperta a tutti gli slanci e gli abbracci.

Nacque così, prima il Centro Studi Spazio Vita; poi la collana “La luna nel secchio”, in cui, dopo testi di vari autori, appare la sua silloge più impegnata Pudore che fa seguito alle precedenti raccolte La polvere e il vento, Favola e il già citato Fiammiferi. Chiediamo alla stessa autrice che cosa rappresenti Pudore nella sua fenomenologia poetica. E la risposta precisa è: “Avvia un viaggio nella memoria prima di giungere fatalmente al momento in cui si confronta con la vita e ripercorre gli interrogativi inquietanti della sua esperienza di ragazza, madre, donna...”

Cerchiamo di addentrarci nei percorsi, certamente non agevoli della poesia e della vita di Vera, ricorrendo alla lirica che alla stessa autrice sembra la più speculare:

 

RUBAMI

l’ultima bellezza

comprami le allodole

sono breccia aperta

pioggia e tormenta

uccello senza piume

aquila e colomba

pantera di carta

stella al galoppo

pelle di ferro

       ...farfalla maledetta.

 

La poesia non nasce mai dal nulla, non è esercizio fine a se stesso, sperimentazione cieca, hazard; c’è sempre qualcosa che la determina, una scintilla che accende il motore e allora il genotesto, che dormicchia dentro di noi, si sveglia, si attiva, occupa il centro della scena, diventa fenotesto, cioè si manifesta, si mostra con la sincerità di chi si confessa, anche quando l’oggetto della confessione è nascosto sotto il velame de li versi strani della metafora; e di metafora ha certamente bisogno chi intitola Pudore le sue confessioni: è l'estremo argine di chi mette a nudo la propria anima, di chi può cantare:

 

TRA SOGNI LASCIATI

 

ho bevuto l’acqua

spento i fuochi

e dimenticato

                      nella notte nera -

d’intrecciare capelli

indossare sottane

0dormire nel letto

Tutto procede

         impetuoso

e non mi fermo

a guardare indietro

e senza nascondermi

cerco nell’identità dei giorno

                gli amici sconosciuti

Salvatore Camilleri

 

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