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Anterao

Io troverò sempre
dei compagni
che si uniranno a me
per prestare fede
alla lotta

Acireale 1963

 

Vera Ambra
La giovinezza di primavere mi sorrise
Raccolta delle Poesie dell'adolescenza.

«Tu solo per sempre»
è l'immutabile parola di chi ama


Mio caro, dolce ed indimenticabile amore,
come un palloncino che improvvisamente scappa con il vento, i miei pensieri stanno ripercorrendo anni luce, attraverso la ruggine del tempo svanito sui banchi di scuola, per ricomporre con la colla della nostalgia quei frammenti di ricordi legati a te, eterno ed unico mio amore.

Caro amore, amore caro! Quanti anni... quanti!
Provo adesso un'indicibile emozione nel riscoprire e ritrovare la freschezza di quei nostri giorni, i soli testimoni d'una malattia che neanche la medicina del tempo è riuscita a guarire.

Il contrasto, tra ciò che ho lasciato alle spalle e quello che ho davanti, può solamente sottolineare, con un intenso brivido, quella ferita che mai si è rimarginata.

Il nostro amore è rimasto una presenza affascinante e consapevole di mostrarsi rassegnato e avvenente come una foto in copertina.

Soltanto da animale affamato oggi posso divorare il pasto dei ricordi che, pur masticato con la mente, non mi sazia più come quei pomeriggi, discreti e riservati quando, con attenzione, guardavamo a chi potesse scoprire gli intimi disegni dei nostri occhi che si sperdevano nei confini.
Oggi, amore, posso soltanto con il cuore percorrere le memorie che vorrebbero mischiarsi coi sapori di quei giorni consumati su quella vecchia panchina del giardinetto pubblico e così riprovare, per un solo attimo, le sensazioni della prima volta.

Le nostre immagini, ferme e immutabili, sembrano quadri prosaici e misteriosi di questa storia, nascosta ancora sotto le larghe pieghe di quel vestitino di velluto rosso sfoggiato per provare la sensazione d'essere una elegante signorina.

Ricordo che la testa mi girava a forza di camminare insieme a te, col naso all'insù e gli occhi strizzati, leggermente inebriata da quell'aria che sapeva di gelsomino e di libertà.
Persino il sole sembrava più vivo tra i gatti sornioni che se lo godevano, mentre adesso, che vivo guardando l'orologio per contare il tempo, mi rivedo ancora con te, mescolata tra la folla, con la forza di quella ingenua trasparenza che ci lacerava con domande alle quali non sapevamo dare risposte.

Troppi anni hanno cambiato la nostra vita senza risparmiarci; adesso, anche se per un attimo ritorno a te, lascia che ti scriva queste righe che so bene che non leggerai mai, poiché in quell'angolo nascosto della mia vita, tra sogni e silenzi, c'è la gioia e la spensieratezza che abbiamo provato insieme.

Da allora non mi è rimasto che sentire le rughe crescere una a una. Le ho sentite calcare la fronte mentre mi lasciavo andare avanti, senza che nessuno abbia osato muovere un dito per fermarmi in questo andare.
Sono andata sempre avanti, senza mai guardare indietro, senza mai chiedermi dove. La sola consapevolezza che riesce ad identificare le mie emozioni è l'impronta di questa bufera di felicità che si scatena con lotta impari, che mi schiaccia come una formica sotto il tacco.

Con la dolcezza del tuo ricordo posso oggi illuminare il grigio degli anni che si sono mescolati con l'ombra di tanti altri anni e di tanti altri amori. Questi ricordi, amore, adesso sono soltanto piccoli fiammiferi che s'accendono e si spengono per ricacciarmi senza pietà nei meandri dei giorni perduti, dove debbo soltanto surrogare una realtà che, priva d'innocenza, non potrà più avere i tuoi occhi: gli occhi d'una volta!

Vera

 

IL PRIMO AMORE

Ogni età ha le sue gioie e i suoi dolori
così come ogni stagione
è piena di dolcezza e difficoltà
Se la gioventù appare colorata
è perché la giudichiamo da lontano
attraverso lo specchio del ricordo
Se la vecchiaia pare soltanto spine
è perché la giudichiamo
dal suo aspetto esteriore
scordandone l'anima
Per l'anima non esiste età


La lontana estate dei miei 13 anni fu l'unico periodo d'oro per mia madre, infatti trascorrevo buona parte della mia giornata in cucina.
Chissà quanti perché si fermavano nella sua testa mentre lanciava i suoi sguardi lì, in quel luogo dove non avevo mai mosso un dito per adempiere ai miei doveri di figlia casalinga. Per mia madre, vedere me che trafficavo tra piatti e pentole era come vincere un terno al lotto: un avvenimento storico. Ecco perché restava stupita e senza parole quando entrava in cucina e mi sentiva cantare.
Tutto poteva immaginare, e forse aveva già rinunziato a capire, tranne che la causa fosse proprio un mio coetaneo.
Nella piccola mente ancora bambina qualcosa aveva turbato i giovani sensi. Era un ragazzino alto, con i capelli corvini tagliati corti e gli occhiali che coprivano gli occhi, verdi come quelli di un gatto. La sua faccia, bianca come il latte, era costellata da una miriade di brufoli. Abitava nella casa di fronte e potevo vederlo dalle finestre interne che s'affacciavano nel cortile.

Mi sembrava allora una cosa fuori dal mondo fare amicizia con un ragazzo... in fondo avevo ricevuto una rigida educazione e stare alla larga dai ragazzi era la prima cosa che mi avevano insegnato! Eppure le vacanze estive non duravano a lungo e non avevo voglia di trascorrere il resto del mese a guardarlo soltanto. Questo pensiero poco a poco diventava sempre più pressante e sentivo che dovevo far qualcosa pur di riuscire a parlargli; così feci amicizia con Franca, la giovane portinaia e quando non ero occupata nelle letture o nelle "faccende domestiche", andavo a farle compagnia nella sua angusta guardiola: a lei confidavo i miei pensieri.
Qualche volta mi capitava di veder uscire la madre; portava sempre in braccio un cucciolo di cane lupo ed io mi fermavo ad accarezzarlo. Lei e la zia Lilly, entrambe di origine svizzera, avevano una bellissima profumeria di fronte al Teatro Stabile Angelo Musco di Catania, allora in Via Umberto dove avevamo la nostra residenza. (Lo stesso locale che nel frattempo diventò il Bar Angelo Musco in cui vent'anni dopo conobbi il poeta Benedetto Macaronio).
Quella donna in qualche maniera rappresentava il modello di mamma che avrei voluto avere: era davvero molto bella. Dai suoi occhi scuri, grandi e buoni, traspariva la bontà di un cuore sincero. La fronte era pallida e spaziosa ed il suo portamento nobile. Aveva i capelli neri leggermente ondulati sulle spalle e fissati sopra la nuca con un enorme fiocco (allora erano di gran moda).
Ogni volta che la incontravo solevo affondare i miei occhi nei suoi per potermi specchiare dentro. Provavo per lei una sorta di feeling e mi dispiacevo quando leggevo nel suo sguardo i segni della stanchezza. Ciò che percepivo in lei non erano i classici segni della stanchezza fisica; era qualcosa che la turbava nel profondo dell'anima. Mi catturavano i suoi occhi; erano velati di tristezza e a volte così duri che potevano uccidere.
Al piano sopra il mio abitava un'altra donna sposata, con tre figli e il marito in Africa. Il maggiore aveva all'incirca 16-18 anni, seguito da una ragazza e da Paolo, il minore, che a quel tempo ne aveva due e giocava spesso con mia sorella Silvana.
Il fratello maggiore (adesso non ricordo più come si chiamasse) all'improvviso morì, credo di un brutto male e lasciò sua madre nella totale disperazione. Mai, anche dopo la sua morte, quella donna accettò l'idea d'aver perso il figlio. La sua casa - per tutto il tempo che l'abitò - rimase pregna della sua presenza, come la casa che abitò dopo e quella dopo ancora.
Quel periodo fu profondamente turbato da questa scomparsa; non credevo che si potesse morire così giovani. Credevo che la morte fosse legata alla vecchiaia... la morte è qualcosa che non ho mai accettato neanche con la più grande delle volontà. Ma non finì qui.
Era estate avanzata ed eravamo quasi alla fine di agosto: cantavo la canzone in voga in quel momento... con le parole di Little Tony: “Lo so verrà la fine d'agosto e poi sarà la fine di tutto... tu ritornerai tra gli amici tuoi e di me... di me ti scorderai....”
In effetti fu un'estate che mai più dimenticai.
A Catania erano stazionari i 35 gradi all'ombra. Si soffocava dal caldo ed il mare lo guardavo da lontano: non sapevo nuotare e mi vergognavo andare in "acqua" con la ciambella.
Fu una di queste mattine, una come le altre mentre preparavo un panino, quando bussò a casa Franca, la portiera: “Stanotte è morta la signora Giorgina” (la madre del ragazzo che mi piaceva tanto).
"Cosa!" esclamai più turbata che spaventata.
Come potevo accettare che lei se ne fosse andata. Mi passò la fame e per tutto il giorno non riuscii a buttare giù un boccone. Non ero mai riuscita a dirle più di buon giorno o sera, per me era un'estranea, una che conoscevo appena eppure le ero tanto affezionata. Ancora una volta mi ritrovai ad affrontare l'argomento morte e il pensiero corse subito al figlio, rimasto orfano a soli 13 anni. Nel collegio dove avevo trascorso buona parte dei miei studi avevo conosciuto tante ragazze orfane: adesso ne trovavo un altro.
Claudio aveva un fratello maggiore di 10 anni, un padre e due nonni, ma non avrebbe avuto più il conforto di una madre, bene insostituibile a questo mondo. Questo dolore che provavo nel petto si spandé con le sue maglie ancor più in profondità per la seconda volta quando vidi una lunga e larga auto nera portarla via dentro una bara.
Non trascorse molto tempo dalla sua morte che una notte feci un sogno alquanto strano. Mi ritrovai spettatrice di una discussione tra la signora Giorgina e il figlio Claudio.
Non riuscivo ad ascoltare quello che dicevano, ma avevo la sensazione che il ragazzo stesse chiedendo consiglio alla madre sulla scelta di una ragazza che aveva fatto (ero io) e nel frattempo le porgeva una lettera che gli avevo scritto.
La madre letto il foglio diceva che era felice per la sua scelta e si allontanava con un'aria contenta, lasciandolo solo. Il sogno non si concludeva qui.
Non era un luogo ben preciso quello dove mi trovavo. Vedevo la signora venirmi incontro. Avvicinandosi mi parlava con voce dolcissima... Diceva che era felice di lasciare a me suo figlio, perché doveva andare lontano e non sarebbe più ritornata. Mentre con molto affetto mi salutava, concluse dicendomi: «Guarda in cielo, figliola, cerca una stella, la più luminosa. Sarò io che dall'alto veglierò sul tuo camino».

“Che stupida” mi dissi la mattina dopo svegliandomi. “In fondo è soltanto un sogno; come puoi pensare che quel ragazzo ti sia stato "affidato"... nemmeno lo conosci”.
Ragionamenti di questo genere ne feci a più non posso. Erano trascorsi tre o quattro giorni dal sogno quando decisi di scrivergli sul serio.
Scrivergli la famosa lettera... ma cosa gli avrei detto? cosa avrei scritto? come gli avrei potuto manifestare quegli innocenti timori che scoprivano il palpitare dei sensi?
Quel volto fanciullo apparve come un prezioso raggio che illuminava ogni angolo dell'esistenza... ed ero stanca di sorprendermi a fantasticare puntando gli occhi al soffitto. La prima cosa che pensai fu che non era affatto carino fare una dichiarazione ad un ragazzo... e se gli avessi scritto una lettera anonima?
Finalmente optai per quest'ultima soluzione e quando fu stilata la chiusi in una busta ben incollata e la consegnai a Franca pregandola di dargliela non appena l'avesse visto.
Dalla finestra della cucina lo vidi mentre rientrava a casa. Aveva il viso turbato mentre apriva la busta. Tutte le volte passava sotto il mio naso senza accorgersi che lo guardavo. Forse fu per quella lettera che qualche giorno dopo iniziò a seguirmi per strada. Trascorse un'altra settimana di scambi di sguardi prima che ci incontrassimo davanti al portone di casa. Fingendo di non riuscire ad aprire mi chiese se avevo la chiave. Così compresi che era l'occasione buona per attaccare discorso.


Strane,
le follie d'amore
sorte in fondo
delle tenebrose vie
che tramutano tutto
in splendido sentiero

Lascia che io riviva
ancora quel giorno
Lascia che la penna
scriva ancora
guidata da malinconia
La gioia che m'hai dato
nessuno può portarla via


Finalmente conobbi il suo nome, ma il mio timore era che tirasse fuori la lettera. Per fortuna non lo fece, altrimenti sarei morta di vergogna.
Iniziammo ad uscire tutti i pomeriggi e sempre più ero fermamente convinta che tra noi fosse nato qualcosa che sarebbe stato destinato a diventare grande.
Ma le cose belle, purtroppo, durano poco. L'estate era del tutto finita e l'apertura delle scuole era alle porte. Questo significava che avrei lasciato Catania, che sarei tornata ad Acireale.
Ci promettemmo però di scriverci tutti i giorni.

 

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