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L'ABILISSIMO GIOCO DI UNA PENNA CHE TRAFIGGE





TN_piano2.JPG (6272 byte)Adesso mi trovo qui a scrivere dell'ultimo lavoro di Vera Ambra perché, assieme a Marco Marino, sono stata invitata a leggere il manoscritto.
Ancora non ho avuto il piacere di conoscerla personalmente.
La nostra conoscenza corre sul filo della corrispondenza e della conversazione. La prima volta, quando ho alzato la cornetta, la voce che mi entrò nelle orecchie, sarebbe stata la stessa voce che, in poco tempo, avrebbe capovolto quella che era la mia idea di realtà. Parlare con Vera Ambra, da quel giorno, per me è diventata una meravigliosa abitudine, un appuntamento quotidiano imperdibile.
Conosco soltanto la sua voce, ma oramai le sfumature delle singole parole, sono adesso, per me, come una matita, che traccia attraverso la cornetta, su per i cavi dell'elettricità, i suoi lineamenti.
Al di là dei contatti che abbiamo per organizzare le cose che stiamo facendo insieme, la sua presenza percorre le mie ventiquattro ore. Un tempo, spente e dedicate soltanto al mio burocratico e noioso lavoro da impiegata, ora rapide e pirotecniche.
Mi accompagna per mano, in un mondo che io, da lontano, ho sempre sognato, lasciandomi scoprire da sola i pregi di questo microcosmo e i difetti.
Mi lascia cadere quando è necessario, e mi sorregge in altri momenti. È lei il mio personale Virgilio, la mia traghettatrice sul fiume della scrittura. Una testa che racchiude in sé la genialità dei sensi e la sensibilità del genio. È come se il suo "gigantesco essere" riuscisse a "smolecolarsi" in miliardi di proiezioni, contaminando poeticamente, infiniti campi, progetti, iniziative.
È un Picasso che imbratta la mia tela di sfumature lilla e argento. Imparare da lei è come succhiare avidamente un frullato gustoso e profumato di vaniglia.
Per questo le voglio dedicare un'importante carta dei Tarocchi: la "Papessa". La madre, il Genio, l'Intelletto, il giusto equilibrio sospeso sul ponte dell'infinito, con un piede nel fantastico, ed uno nel reale.
Adesso, per me, riportare su foglio lo stordimento provocato dalla lettura di Insabel è come avere un ascensore personale che mi conduce nel magico mondo di Oz.
È come accompagnare con mano una donna che sta attraversando strade silenziosamente macchiate di nebbia.
L'amore è solo un momento! Non esiste un prima o un dopo. Esiste solo un momento: quello d'Insabel che omeopaticamente lo assorbe in piccole dosi ...per metabolizzarlo.
È sera.
Cosa può spingere una donna a scegliere di correre verso un punto lontano?
La stessa cosa, la può - poi - costringere a saltare il confine invalicabile che divide la purezza dalla carne?
Il denominatore comune - che tutto muove e che tutto regola, si dipana magicamente tra le righe di questo racconto, che si modifica in continuazione, facendo accavallare amore, eros, perplessità, odori, sensazioni - è l'atavica esigenza di sentirsi appartenere a qualcuno. Una sensazione che s'insinua sotto la pelle della nostra Insabel, facendola rotolare tra i piaceri della carne, e i vortici sinuosi dell'amore.
Una stanza d'albergo, che ogni giorno cambia inquilini è come il cuore di Insabel, che ogni giorno cambia luogo; questo è l'abilissimo gioco di una penna, che trafigge e smembra quella che si chiama poesia dell'eros, ma che molto spesso scolora in volgarità gratuita.
Assistiamo, spettatori partecipi, ad un confluire di sensazioni che scorrono lievi dentro le vene, ed in quella caverna morbida, all'interno del corpo, dove si diffonde il fuoco e la pece, l'amore e la paura.
Quasi non c'importa dove ci condurrà la storia, per come ci sentiamo fagocitati da una miriade di libellule e di suoni che richiamano il respiro più delicato.
Eppure i personaggi, a noi sconosciuti, appaiono come alter ego, di ognuno.
Sembra quasi, incuriositi, di osservarli dal piccolo forellino di un immaginario muro, senza malizia, né imbarazzo, perché nei loro movimenti, nei loro sguardi impercettibili, nei loro discorsi, si raccoglie il frutto nascosto di ognuno di noi: il desiderio dell'altro, privo di ostacoli o sofferenze.
E allora, donarsi per una notte ad un'altra persona, non è più lo svendere il proprio corpo, ma il regalare il proprio io, a qualcuno che, in quell'istante, sembra che ci apparterrà per sempre.
"Il cuore galleggia come una fetta di limone in una tazza di thè caldo", è questo che facciamo scorrendo le righe del libro: galleggiamo in una miscela d'aromi e calde tisane, che sul palato lasciano una scia di piacere vellutato.
Insabel è questo concentrato di femminilità e ardore, di impulso animale e materno, di dolore e di euforia, tutta tesa verso la scoperta del misterioso gesto che ci guida da quando siamo piccoli; lo svelare la propria nudità fisica e mentale, nella fusione infinita di due corpi…
La trama è una straordinaria parentesi che preferisco non aprire, né chiudere, per lasciarvi arrivare, da soli, a dove vi porterà questa strada notturna e nebbiosa…
Non importa che sia una storia biografica o un semplice racconto. Quello che realmente conta è come riesca ad entrare in ognuno di voi.
È la rivincita di una donna che oggi non ha più bisogno di vivere nell'amore-timore dell'uomo, ma che l'unica cosa che deve fuggire è l'essere fragile.
È una presa di coscienza lucida e sconvolgente di quanto una donna debba essere sicura di sé, di come deve alzare la cornetta solo e se lo decide lei, senza nutrire ore d'attesa inutile per una chiamata che non arriverà.
È l'emozione palpabile di un corteggiamento mentale, come preambolo di quello che sarà poi il toccarsi, l'accarezzarsi, lo stringersi.
Le sue sono parole che superano il concetto di letteratura erotica per rendere visibile quanto sia inutile e frustrante la suddivisione per generi.
Di genere n'esiste uno e uno soltanto: lo strano percorso che ognuno di noi fa, armato di corpo e anima.
Perché è stupido nascondersi dietro il velo del buonismo intellettuale e sostenere che la vera importanza è nella mente. Noi siamo fatti di entrambe le cose: anima e corpo. E per nutrire l'una è necessario sfamare anche l'altro.
E allora questa nostra Insabel è anche Luciana, che stenta a parlare di numeri, non appena il suo sguardo si posa su un punto di fuga maschile, che si guarda, silenziosa attraverso lo specchio, mentre disarmata e curiosa lascia che i vestiti le siano tolti. Che spera in una storia eterna e che vi proietta tutto dentro, finché non si accorge che le sue altro non erano che proiezioni, immagini fittizie di una metà che cerchiamo disperatamente, ma che alla fine troviamo completata solo dalla nostra solitudine.
Questa è la nostra donna: un'amara considerazione di un amore che deve essere omeopatizzato, limato, circoscritto, per paura, voglia di libertà, utopie…


                                                                                Luciana Morelli

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