Per breve tempo la rosa fiorisce:

e quando è passata,

non più la rosa troverà,

ma solo la spina.

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Nella mia garbata bohème c’è un gusto barbaramente eccentrico: confusione d’indumenti sparsi per casa, una sedia, due scarpe, una rosa appassita sul tavolo e due occhi sul muro.

Due occhi sul muro: è tutto ciò che resta d’uno sbadiglio dispettoso. Due occhi che, dalla foto, dalla profondità d’una pudica attesa, guardano le mie possibilità perdute. picone.jpg (8265 byte)

Lo so, è stato importante ...molto.

Ne sono convinta! Lo dico fra me, con una punta di tenerezza, quasi per consolarmi.

È stato vero che, nell’universo sperduto dell’innocenza dei suoi due occhi bambini, ho scoperto un anelito che mi colpì come un pugno allo stomaco, lasciandomi senza fiato.

Sono stati gli occhi o il suo sorriso?

È stato il tormento dell’umano travaglio che avvelena ogni esistenza con certe domande: come o che cosa.

 

 

att.jpg (8321 byte)Forse è consueto innalzare il calice dell’offerta quando la vita sparisce ai confini del tempo e con le dita di Penelope cuce e riscuce la tela del passato…

E la mia?

Non credo che avrò mai la certezza che un giorno finirò di tesserla.

Raddolcisco il silenzio della coscienza e, con un forte senso di nostalgia, provo a galleggiare nella nebbia dei giorni perduti.

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Mi poso su un tenerissimo uragano: un rosso-spento. La sua rosa. Adesso appassita da troppo tempo!

Era un delicato bocciolo prima di schiudersi nella bellezza perfetta. Oggi è solo una spina che guardandomi ferisce.

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Una rosa si preoccupa mai delle sue spine?

 

 

Una rosa prima o poi si stanca d’insecchire. Si stanca ritrovandosi, nella dignità perduta, senza nemmeno una foglia. È proprio questo contrasto che mi fa rendere conto di come, nel lento immutabile, cambia la vita.

 

Smetti di pensare!

Non ho fretta di pensare. trucco1.jpg (17330 byte)

Tanto sono i pensieri gli schiavi redenti che, con la pelle sfregiata, passano in rassegna lo scorrere delle ore e marciano scalzi sul suolo dell’esistenza.

Viva o morta… Cosa importa?

 

Forse!

Forse?

Che viva o muoia cosa importa se neppure l’ombra ha un rifugio sicuro quando la notte comincia a scomparire e il giorno prolunga la sua durata?

Vorrei tanto stordirmi con le mie stesse sensazioni e lasciarmi sorprendere poi dalle tempeste: allora spalanco bene gli occhi per non farmi cogliere dalla stanchezza e con gli stessi occhi, lo so, potrei di nuovo rivivere tutto.

 

Sono i brevi momenti che rendono sopportabile la vita.

 

Lo so bene questo! trucco.jpg (27878 byte)

Tuttavia ci sono i fantasmi che ancora a piene boccate masticano la mia malinconia.

A dire il vero, ci sono momenti in cui sono stanca di cucirmi addosso i vestiti che indosso come un magico toccasana e vorrei ritrovare quel coraggio di strappare la camicia di forza alle lacrime di coccodrillo e con vorace libidine sedermi davanti allo specchio, come una regina sul trono!

Alla stessa maniera d’una volta quando, con i polmoni sporchi di fumo e le pupille dilatate, compilavo ogni sera l’inventario della maschera che mi dipingevo sulla faccia.

Quelli sì che erano i giorni in cui, nel segno di una silenziosa consapevolezza, forse banale e priva di risultati, la meraviglia cresceva assieme all’abitudine di rientrare non prima che il fresco e sorgivo mattino battesse le sei (del giorno dopo).

Una mano luciferina m’avvolgeva sicura e, unica abitante d’un paradiso d’ombra, a giudicare dal nero sotto il contorno dell’occhio, sembravo più un’aristocratica vampira che, tra gli sconosciuti, mordeva e avida succhiava tutto ciò che capitava a portata di mano.

In fondo ero il guardiano del buio che custodiva le notti e le gustava in compagnia dei gatti sulle strade deserte ma, eroina costretta a mangiare pane farcito con ironia e banalità, ero una mela ghiotta, caduta e mai raccolta.

Poi, per un importante giornale (quattro articoli al mese) confezionai su misura una forma di felicità, tuttavia un sogno disancorato (pericolosa nave che solca le profonde vie della mente) un giorno approdò nell’accogliente sala d’un teatro.

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