Kahlil Gibran

 

Come il mattino porta la frescura di un'alba nuova

così nella città di Orfalese, per dodici anni, l’Eletto e amato Amulstafà

ogni giorno attendeva della sua nave il giungere

Rivisitazione di Vera Ambra

 

 

Dolce era il giungere sulla collina e lì, con la mano sulla fronte, contemplare il lungo filo che accarezza l'orizzonte.

E più dolce era lasciarsi andare tra i gai pensieri in cui il cuore annegava nell’attesa del rientro...

E in quel dodicesimo anno, tra l’incerta foschia, si distaccò una volta di più l’onda del pensiero al desiderio del ritorno, all'isola sua nativa.

 

In quale orizzonte sconosciuto...

 

 

...si riflessero i suoi occhi allor quando vide la sua nave ritornare?

Quando la nuova notizia gli spalancò le porte della gioia l’agitarsi del suo cuore presto diventò una nota cristallina e più presto si confuse tra le mille gocce di luce e il turbine fu tale che tutti i pensieri s'accesero assieme all’aria e il mare e tutta la sua essenza, intrisa coi colori smeraldini del mare volò al di sopra del cielo.

Volò lontano.

Soltanto all’avvicinarsi delle mura della città che l'ospitava s’accorse che un oscuro dubbio ricamava sconforto nell'animo.

...E ogni cosa prese a tremare in quel luogo dove tutto è silenzio. E ad occhi chiusi divise, tra gioia e i tristezza i pensieri. Ed ogni sterile sforzo abbandonò al solo giudizio del suo cuore.

TROPPE VOLTE LA VITA


ci conduce per strade diverse e questo non è sempre colpa degli avvenimenti o degli altri, ma può adesso il dolore ripagare il piacere d’un’antica speranza?

«Ah, cuor mio dimmi...

Ti prego dimmi in fretta cos’è questo desiderio che mi consuma?

Potrò camminare in pace per la mia strada senza provare questa sofferenza?

No!

Non potrò lasciar mai questa città senza straziarmi l’anima.

Eppure soltanto il fervore della torcia ha consumato, ad una a una, tutte le lunghe notti di grovigli e tutti i miei giorni dentro le sua mura».

Ahimè!

È giusto andare dove il mio pensiero desidera andare?

E senza lamento potrò saziare le lusinghe supplicanti del desiderio?

Troppi sono i frammenti della mia anima che qui...

sebbene impalpabili vagano tra queste strade per lasciare la loro impronta

altro non sono che i tanti figli del mio desiderio...

e già spogli camminano tra queste colline.

 

Le ombre non si possono tramutare in parole.

Non posso lasciare ch'io ragioni.

Che io non veda ed arrendermi nelle mani evidenti dell'assedio e strapparmi a loro senza provare sgomento e dolore.

Ahimè! Non è forse meritevole rivolgere il pensiero al luogo in cui si desidera andare? Così e senza lamento sazierò le lusinghe supplicanti di ciò che è stato dolore e solitudine.

 

Io non sono che una goccia che cade sul fuoco della vita e si dissolve, non senza la forza di lasciar ch'io ragione non veda e ch'io m'arrenda inerme e ch'io mi strappi a loro senza provare sgomento e pena.

 

 

 

 

 

Il mio non è un abito

che penosamente disdegno: è la stessa mia pelle che strappo via con le dita.

Non è memoria che con me

conduco a piacere.

 

È questo petto che adesso, inondandosi di lacrime, singhiozza.

 

Tutto questo è companatico per la mia fame, è rifugio per la mia saggezza, coraggio per la compassione.

Tutto questo è il mio cuore che dalla stessa fame e dalla sete è stato reso arrendevole.

È questo mio petto che adesso, inondandosi di lacrime, si spezza.

Vorrei potermi a lungo trattenere, ma indugiare più non posso.

Il mare esige ogni cosa ed a se mi chiama e io debbo andare.

Adesso non posso restare qui fino a coprirmi di freddo e quantunque le ore della notte s’infiammano...

come vorrei che il limpido gelo che brilla alla finestra mi costringesse a modellarmi in una forma di ghiaccio.

È da qui vorrei che portar via con me ogni cosa.

Come fare?

Può la parola portar con sé la lingua e le labbra che le ha dato vita?

Una parola può sola varcare la linea d’azzurro e da sola volteggiare

come l’aquila nel sole.

 

Eppure sola e senza nido

volteggia l’aquila nel sole

 

 

Giunto ai piedi della collina

un’altra volta ancora egli strappò il suo sguardo dall’orizzonte.

Lo strappò dal mare e dalla nave, approssimata al porto.

 

 

E sulla prua i marinai: gli uomini della sua terra.

E dalla sua stessa anima un grido s’alzò:

Cavalieri dei mari e figli della mia antica madre

quante volte avete solcato i miei sogni.

e adesso approdate al mio risveglio,

che è il sogno mio più profondo.

Sono pronto a salpare, e a vele spiegate

ogni fonte dei miei desideri sospira i venti.

ma lasciatemi che ancora una volta respiri quest’aria quieta

e ancora una volta porga con occhi fieri uno sguardo d’amore.

Dopo, con voi sarò navigante tra naviganti.

E tu, vasto mare, mia madre insonne.

Tu che sei l’unica dimora per il torrente e il fiume.

Soltanto una svolta ancora in questa pianura

e l’acqua sorgiva scompiglierà la nuova traccia

avrà solo un altro gorgoglio.

e da goccia infinita nello sconfinato oceano, io giungerò a te.

 

Continua