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EROS MISTERIOSO
la leggerezza e storia d'un imperatore
che si trasformò in una rosa per amore




"Come un inverno è stata la mia assenza
da te, dolcezza dell'anno che fugge."
(William Shakespeare, sonetto 97)




abbraccio.jpg (65518 byte)Questo libro è un racconto erotico. Più vicino al Cantico dei Cantici che a Bukowski, ma, in ogni caso un racconto in cui si parla di sesso, in cui il sesso si vede e si vive.
Troverete, distesa fra le pagine, la nudità perfetta di Insabel, la protagonista, che perde la sua verginità sotto i dolci colpi ferini di Fausto, l'uomo di cui s'innamora perdutamente.
La troverete che, dopo l'amplesso, lo contempla mentre dorme e si stupisce che il sesso di lui, ora tiepido e molle, "aveva perso la sua forma spavalda, e ignaro dormiva disteso su una superficie che sapeva di terra e di vento".
Lo osserva, addormentato, e prova "tenerezza per quel piccolo oggetto prezioso, l'attaccatura delicata del glande, un punto sul quale le labbra potevano sostare e riposarsi prima d'una nuova struggente fatica…"
Un racconto erotico che penetra nelle pieghe del sesso, nell'odore irresistibile dei corpi al culmine del piacere, un racconto che non scade mai nella volgarità e continuamente oscilla verso la poesia. Gli stessi dialoghi fra i protagonisti, in fondo, suonano irreali, nessuno di noi parla davvero così, ma sulla bocca degli amanti tutte le parole sono possibili, tutte le parole diventano poesia, ogni sillaba si fa musica e metafora.
Il punto di vista, da cui il testo ci fa vedere il sesso, è quello di Insabel, ed è sorprendente per un uomo scoprire come l'eros - così pesante per gli uomini - si faccia tanto leggero per le donne.
Nelle pagine di questo libro, il sesso è di una leggerezza assoluta, una leggerezza insostenibile. Ed è così leggero, Eros, che l'autrice sembra volerci chiedere perché proviamo tanta vergogna, perché abbiamo tanta paura di esso, se la sua essenza è lieve come l'ombra d'una nuvola. Non è un caso, naturalmente, che accanto alle descrizioni meramente meccaniche dell'atto sessuale (o della masturbazione), l'Autrice ci regala delle impennate di fantasia in cui l'eros, ormai leggerissimo, si trasforma in qualcos'altro: il chiaro di luna, l'odore del glicine, le raffiche del vento. "Nella penombra, i volti, contratti e madidi di sudore, erano marce d'antichi guerrieri. Erano mari in cui si specchiavano gli stessi cieli. Erano note che creavano armonie nuove, era la resa. (…). Tutto il profumo dei mandarini, dei ciliegi, del glicine e della ginestra s'impadronì delle mie narici. Col corpo irrigidito e il membro profondamente piantato nel mio ventre, furiosamente si allontanò, parlando una lingua sconosciuta. Il grido di vittoria, infine, gonfiò le vene del suo collo, già colorate di blu. Fu un grido disperatamente selvatico, uno di quei gridi che spaventano: uno di quelli che è difficile spiegare."
Che è difficile spiegare, appunto. Perché l'eros è soprattutto mistero, e il suo mistero nasce dalla sua irrazionalità. Il sesso non è logico, non ragiona. E questo lo rende, ai nostri occhi, il più perfetto dei misteri. Ed è di questo grande mistero che Vera Ambra ci parla, usando una forma di scrittura che, scivolando dolcemente nella poesia, diventa alla fine parabola, intesa sia come parabola narrativa che come curva geometrica.
Perché la storia d'amore di Fausto e Insabel è la storia d'amore di tutti noi, che tutti noi abbiamo vissuto. Una storia d'amore che, alla fine, finisce.
Incomincia trepidando, come un fiammifero sfregato su una superficie ruvida, s'infuoca e sale su, su su su, gli amanti hanno l'impressione di toccare il cielo con un dito e poi - puf - tutto finisce. Il fuoco che aveva illuminato il volto degli innamorati ora li brucia, li scioglie come fossero maschere di cera. L'amore, quel grande amore, se n'è andato. Apparentemente senza motivo.
Apparentemente. Perché nel finale, mentre Fausto parla con un'altra donna, l'autrice per bocca di lui cerca di farci intravedere le ragioni della fine. Ma sono ragioni non razionali, quasi illogiche, come illogiche sono tutte le regole che dominano l'eros. Ed ecco che si ritorna al mistero. Nell'amore, nel sesso, tutto è mistero.
In un punto del testo, l'autrice, con una capacità di immedesimazione non comune, indugia sui piaceri dello onanismo maschile, e ce ne descrive con delicatezza non solo i particolari fisici ("e gli spruzzi gorgoglianti del fiume s'acquietarono e il bianco liquido caldo ricadde sui muscoli contratti dell'addome"), ma anche quelli psicologici: cosa pensa un uomo quando si tocca. Cosa induce un uomo a toccarsi. Qualche pagina più in là, un flashback sorprende il Fausto adolescente a tremare davanti alle cuginette nude, che lo iniziano ai primi piaceri acerbi del sesso, e il lettore uomo si ritrova dipinte davanti agli occhi le stesse paure e le stesse gioie sperimentate nella sua adolescenza. La scoperta del sesso, lo stupore del sesso. Una terra misteriosa e inesplorata.
Dopo aver fatto l'amore con lei per la prima volta, Fausto s'addormenta e Insabel ne ammira le nudità. Dopo alcuni capitoli, in occasione di un altro loro incontro, a dormire è lei (prima di fare l'amore, però), ed è lui stavolta a gioire della nudità di lei. "Quanta gioia possono dare le gambe aperte con tanta grazia. (…) Fausto guardò dentro l'orlo di un'incredibile massa di piccoli ricci: l'abisso d'una rosa nera. Era nera come un riccio, rosa come un anemone. Rosa muta. Rosa pronta a ricevere le sue dita, la sua bocca, il suo sesso racchiuso nell'oscuro ed intimo silenzio d'un mistero mai svelato. Una rosa che apriva le sue labbra narcise, dolci e passive, da mangiare."
Non è casuale, credo, che l'autrice usi la rosa per descrivere il sesso femminile. Lo fece Dario Fo nel suo Mistero Buffo, anche Cielo d'Alcamo nel Trecento, con la sua ambigua Rosa fresca e aulentissima, per la quale - ci dice il poeta - "non ajo abento (cioè riposo) notte e dia / penzando pur di voi, madonna mia."
D'altra parte, la rosa è un simbolo complesso, che vuole dire molte cose. La stessa geometria del fiore, così perfetta e così simile, in effetti, al sesso femminile, è molto complicata.
Complessa e misteriosa, simile ad un bosco, un posto oscuro che t'invita ad entrare promettendoti mille dolcezze, mille godimenti.
Dolcezze e godimenti che vengono mantenuti, ma che, alla fine, se ne volano via come farfalle. Leggerezza, di nuovo.
Eros misterioso e leggero, così leggero che, una volta andato via, lascia nei corpi degli amanti una sensazione di nebbia, di irrealtà. Quasi che tutto quel piacere che ci ha devastati non sia stato che un sogno.
Nel testo di Vera Ambra questa malinconia dell'eros è molto presente e bilancia quasi alla perfezione l'odorosa carnalità delle altre pagine.
Leggendo questo libro mi è tornata alla memoria una storia letta qualche anno fa in un libro di Leo Perutz, Di notte sotto il ponte di pietra. Fra le tante leggende di Praga, c'è n'è una che vuole che l'imperatore Rodolfo II, passando a cavallo per il ghetto, un giorno s'innamorò della bella Esther, la giovane moglie del ricchissimo Mordechai Meisl. Rabbi Löw, il leggendario rabbino che diede vita anche al Golem, fece un sortilegio per cui, tutte le notti, l'Imperatore ed Esther si ritrovavano insieme sulle sponde della Moldava, sotto al vecchio ponte di pietra della città. Là c'era una rosa che cresceva abbracciata ad un cespuglio di rosmarino, e di notte Rodolfo entrava nella rosa e la sua amata nel rosmarino.
Un amore impossibile che, grazie alla magia del rabbino, divenne possibile. Possibile e infelice, come forse tutti gli amori che soffrono la malinconia di chi non è mai vissuto veramente, di chi ha la sensazione d'essere stato sempre e soltanto un sogno. O di chi sa che, alla fine, tutto si trasforma in assenza, nella dolcezza dell'anno che fugge.
"Ti guardai e seppi che non ti avrei mai potuta dimenticare, che avrei dovuto pensare a te notte e giorno. Eppure, più mi avvicinavo a te, più mi sembravi lontana, di attimo in attimo continuavi a scostarti da me, diventavi irraggiungibile come se fossi perduta per sempre. E quando poi sei venuta e sei stata con me, quando ti ho avuta, allora è stato come un miracolo o un sogno. Il mio cuore era pieno di felicità e tu piangevi."
Questo dice l'imperatore, sotto forma di rosa, alla sua amata, di notte sotto il ponte di pietra.
Questo potrebbe dire Fausto alla sua Insabel, o anche Insabel a Fausto. E questo, naturalmente, tutti noi - almeno una volta nella nostra vita - ci siamo ritrovati a dire al nostro grande amore che adesso, mistero dei misteri, ci appare come un sogno stupendo, ma molto lontano.


                                                                             Marco Marino

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