GLI ANNI DELLA SCUOLA
Lasciatemi sola con il mio cuore.
Io non posso ascoltarne la voce
quando unaltro batte accanto al mio.
Pur mite il suo palpito comé nelluomo
che ha lungo vissuto o che aspetta
la morte chiudergli
per sempre le palpebre stanche.
Lasciatemi sola quando
un altro respiro lieve,
anche come quello di un bambino
quando lalba accolse il suo primo vagito.
I desideri ed i sospiri della mia anima
hanno timore di rompere
il velo che li copre e rimango così
in dolorosa prigionia
lasciatemi sola.
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Studiavo
da esterna in un collegio di Acireale e di quegli anni trascorsi fra quelle mura l'unica
cosa che rimpiango sono le mie amiche.
Fin dalla quarta elementare mi ritrovai
con la consapevolezza di avere soli pochi anni addosso ed essere messa a dura prova
affrontando gli aspetti peggiori della vita.
Ricordo com'erano fredde le aule. Mi
recavo a scuola tutte le mattine con i libri e la borsa d'acqua calda che dividevo con le
compagne di banco. Erano solo due tavoloni con le panche di chiesa e, al massimo, otto in
aula e questo non ci permetteva mai molte fughe.
Anche le finestre avevano le sbarre...
tutto l'istituto era una sorta di prigione e durante la ricreazione facevamo il pieno di
sole.
I loro nomi sono rimasti incisi con
inchiostro indelebile. Ed eccole tutte li: Laura, Serafina. Giuseppina, Pinella, Tamara,
Costanza, Sara... ognuna di loro era un "caso umano". Ognuna di loro aveva una
brutta storia alle spalle eppure il loro affetto e i loro sorrisi nutrivano la prima
della mezza giornata, tra i banchi di scuola e, di nascosto, il passar di mano dei
diari segreti.
Andavo a morire per loro e la facevo in
barba a tutte le Suore dell'istituto. Dentro quelle alte mura il "trasgredire per
diventò la prima regola di vita.
Io rappresentavo per tutte loro l'unico
legame con l'esterno.
La seconda metà della giornata, ossia dal
dopo pranzo fino a sera la trascorrevo con Graziella, era molto più giovane di me e in
qualche maniera mi si era attaccata addosso. Non ricordo nulla di particolare di lei
tranne il fatto che io volevo stare a casa sua e lei a casa mia.
E fu da sempre che, nel confrontare i miei
malesseri con le altre "realtà" trovavo che i miei dispiaceri erano solo
piccole nuvole passeggere.
Il "Buon Pastore" più che un Collegio
era una enorme prigione circondata da alte mura e largo cortile con brevi aiuole e le
enorme camerate dove dormivano le ragazze.
All'apparenza sembrava disabitata invece
era una casa fatta di silenzio. Di tanto in tanto giungeva qualche vocio sommesso. C'erano
dentro anticamere spaziose, poi una enorme cucina, sopra il refettorio e dell'altro lato
del cortile tre grandi stanze soleggiate. Era il laboratorio e poco distante altri
caseggiati adibiti ad aule.
Anche le finestre avevano le sbarre...
tutto l'istituto era una sorta di prigione e durante la ricreazione facevamo il pieno di
sole.
Nel grande cortile facevano ombra due
alberi di gelso bianco e un altro albero di nespole.
Tante ragazzine attraversavano in fretta
il cortile come formiche intende a correre qua e là. In tutti i loro volti si leggeva
"un non so che" di disagio, di stanco, come di chi è costretta a non farsi
vedere anche se vorrebbe tenersi tutto nascosto dentro, di chi vorrebbe parlare nonostante
il forte desiderio di tacere.
Quel luogo era la casa del dolore. La
sera, forse, molte di quelle ragazze, piangevano silenziose quando il loro pensiero
correva oltre quei muri. In loro riaffioravano forse i ricordi di infanzia e per le più
grandicelle quelle della giovinezza. Ciò nonostante erano come fiori a cui era mancata
l'acqua, eppure egualmente splendevano nell'esuberanza del loro fisico e del loro buon
cuore.
Con tutte loro imparai a cantare la gioia
della primavera per nascondere la sofferenza per ciò che pesava nei loro cuori.
Le mie amiche di scuola, le uniche vere
amiche, Le uniche ragazze che ho semplicemente amato con tutto il mio cuore e con cui ho
condiviso gli aspetti più puri dei pensieri intimi, i primi palpiti, i primi batticuori.
I loro nomi sono rimasti
incisi con inchiostro indelebile. Ed eccole tutte li: Laura, Serafina. Giuseppina,
Pinella, Tamara, Costanza, Sara... ognuna di loro era un "caso umano". Ognuna di
loro aveva una brutta storia alle spalle eppure il loro affetto e i loro sorrisi nutrivano
la prima della mezza giornata, tra i banchi di scuola e, di nascosto, il passar di
mano dei diari segreti.
Andavo a morire per loro e la facevo in
barba a tutte le Suore dell'istituto. Dentro quelle alte mura il "trasgredire per
diventò la prima regola di vita.
Io rappresentavo per tutte loro l'unico
legame con l'esterno.
La seconda metà della giornata, ossia dal
dopo pranzo fino a sera la trascorrevo con Graziella, era molto più giovane di me e in
qualche maniera mi si era attaccata addosso. Non ricordo nulla di particolare di lei
tranne il fatto che io volevo stare a casa sua e lei a casa mia.
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Tutta la classe al completo: al centro
le proff. Eugenia Arena (Artistica) Valastro (francese) ed Economia domestica
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Ritornano le amiche
dei lontani giorni
al mio ricordo
i vostri volti.
Talvolta sono tristi
questi ritorni
sotto forma di pensieri.
Mi si delinea in mente
la nostra corsa
immersa di silenzio
e di voci lontani.
Così rivedo
sembianze a me note
i vostri volti, dietro i vetri
chini sui banchi di scuola
Sempre così
risplenderai sovente
caro fantasma
di perduta età
Solo figure, alte e belle
piene di grazia e di tormento
siete per me amiche
dei lontani giorni
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Laura - Serafina - Giuseppina -
Pinella - Vera e alle spalle un'insegnante
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Giuseppina - Pinella e Vera
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