Vera Ambra
Il senso della Vita
Omaggio a Kahlil Gibran
Nessuno può rivelarvi alcunché, eccetto ciò che già
riposa semiaddormentato alle radici del vostro sapere.
Il maestro che passeggia con i suoi discepoli all’ombra del tempio non elargisce la sua conoscenza, ma
piuttosto la sua fede e la sua amorevolezza.
Se è veramente saggio, egli non vi impone di entrare nella dimora della sua saggezza, ma vi guida alla
soglia della vostra stessa mente.
Kahlil Gibran
«Qual è il senso della vita?» questa è stata la prima delle più
inquietanti domande che mi sono da sempre fatta. Altro interrogativo è stato “l’Essere”.
Chi è, costui! Cos’è mai?
Cos’è l’Essere se non quella precisa forza che ognuno ha dentro di sé? Quella specifica Essenza che è diversa da tutte le altre e che ci
distingue dagli altri.
Eppure quanti interrogativi hanno costellato la mia esistenza... tanti!
E quante mancate risposte!
L’unica soluzione che ha alimentato, in seguito, questa fame di conoscenza che – dentro di me – ardeva tra le fiamme più alte, è
stata la scrittura.
Con carta e penna ho iniziato a dare un senso, un ordine e una priorità a tutte le attese, le aspettative, alle domande... a tutto. Ma
per prima cosa mi sono occupata del mio apprendimento e da allora è diventato il bisogno primario, eccellente!
In men che non si dica l’adolescenza, che sorpassò velocemente gli anni importanti di quell’infanzia che fecero di me una
bambina curiosa, all’improvviso – nel mondo degli adulti – diventai
taciturna, solitaria, musona.
Mi sentivo come se parlassi un’altra lingua e che nessuno comprendesse
ciò di cui avevo bisogno.
Così mi circondavo di “deserti” e diventai sorda a ogni voce udita e muta nel mio tacito pianto soffocavo il silenzio.
Così i primi turbamenti presero vita sotto forma di parola:
Vorrei poterti dire l’intimo fuoco
che m’annienta e che mi fa risorgere
per essere grande e che mi fa rimpicciolire
per essere nulla che mi fa creare
le fungenti cose dell’eterno bene
che mi sovrasta il cuore.
La poesia, infatti, diede senso a quest’Essenza di me che cercava
spazio e la sua fame mi costringeva a nutrirmi di altre parole e le parole mi portavano a divorare libri come fossero frutti prelibati.
Intorno ai quarant’anni ebbi modo di scoprire Gibran e da quel momento egli diventò il “Padre” dei miei “Padri” più prediletti.
Lo scoprii quando uno “Tzunami” devastò in toto la mia vita.
E, quando credevo che ormai tutto era perso e finito, ecco che sboccio a nuova Vita.
Le parole di Gibran, in tutti questi anni, sono state il Faro che ha illuminato il cammino e sono state sempre vigili e attenti nella
mia mente, come “monito” all’ingresso del Tempio e sempre pronte a sostenere i miei momenti di debolezza.
Oggi, questo cibo prezioso che ho masticato e digerito, rimasticato e ridigerito, l’ho voluto rivisitare, con parole mie, in quegli
anni bui proprio per meglio assaporare il gusto di esperienze di altri “Uomini” che prima di me hanno percorso il tragitto dell’umanità.
E così come le ho recepite, così le voglio “raccontare” a modo mio e a modo mio dire grazie a Gibran.
Le pagine che seguono sono frammiste a quanto gelosamente scritto nei pochi quaderni a me cari e sopravvissuti a tutti i disastri
e che oggi rappresentato quanto di più caro ho.
I versi, inframmezzate al testo rivisitato di Gibran sono state scritti negli anni che vanno dai 13 ai venti. E sono stati questi i
punti fermi da cui non mi sono mai allontanata, neppure durante i momenti peggiori.
Vera Ambra
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