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LA FAMIGLIA AMBRA È AL COMPLETO

La vita è un'eterna montagna

i più arditi arrivano in cima

i più deboli si smarriscono ai suoi piedi

 

Intanto erano trascorsi altri due anni e Mario, il tanto desiderato maschio, corona il sogno di continuità di nostro padre, ma a mettere la parola "fine" ci penserà Silvana, l’ultima femmina. 

Ormai la famiglia Ambra era al completo e papà Emilio tutte le domeniche, dopo il sacro pranzo festivo, ci portava a fare la solita passeggiata alla Villa, e con gran orgoglio mostrava la sua prole al completo a tutto il paese.

Passeggiata ai giardini di Pubblici di Acireale - Da destra a sinistra  io - Pina - Mario - Silvana e alle spalle mio padre

Se c'è una cosa che mi riconosco fin da sempre è quella di essere una "Bastian contrario". Non mi piaceva andare mai dove vanno gli altri. Mi piace voler scegliere che strada fare... e per questo motivo non mi è stata affatto facile scontrarmi con gli altri, soprattutto con quelli che hanno tentato di piegarmi.

Gli incubi da bambina erano rappresentati dai "pasti" e, affinché mangiassi, mia madre era più costretta a trovare qualche bambina nelle vicinanze di casa che m'aiutasse a consumare il pasto che lei preparava con me. Non era un compito difficile e fin d'allora non ho mai apprezzato il dover "mangiato da sola".

 

vogliadicrescere.jpg (19383 byte)I giorni e i mesi dei primi due anni trascorrevano con l'unico vestitino, nel frattempo diventato logoro.

L'orlo sempre più allungato non esaudì mai quella curiosità di sapere se era il vestito che lavandolo s'accorciava oppure le mie gambette che s'allungavano.

Per quanto mi potessi guardare nell'unico specchio della camera da letto dei miei genitori non m'accorsi mai dei lenti cambiamenti che i trasformarono da bimba in fanciulla.

E venne il tempo dell'asilo e poi della scuola. Togliendomi il piacere dei primi giorni quando con il cestino pieno di un formaggino "Mio", una mafaldina, un pezzo di cotognata e una bavetta il pensiero maggiore era il tornare a casa... non a casa mia. Ci stavo solo il tempo per dormire.

La mia vera abitazione era quella a fianco. La casa di Don Carmelo che confinava con i mura del celeberrimo Collegio Pennisi, aveva una parte diroccata dalla guerra ed era rimasta così piena di vegetazione naturale. La grande casa vuota di Don Carmelo era il luogo dove io e Paolo trascorrevamo la maggior parte del tempo a giocare. Don Carmelo m'insegnò a pulire i fagioli, la lattuga, a sgranare i piselli... a cucinare. Quante sere, seduta sulle sue gambe, mi trasportava nel magico mondo della fantasia. Ogni volta c'era una storia nuova ad incantarmi. Appena imbruniva consumavamo una modesta cena fatta di brodo di lattuga uova e formaggio e in fretta uscivo dal portone di casa sua per tornare alla mia. Papà s'arrabbiava molto se non mi trovava a casa.

Avevo otto anni quando fui messa al corrente della decisione che mio padre, stanco di fare il pendolare, aveva affittato un appartamento a Catania e di conseguenza l'intera famiglia si sarebbe trasferita. La mia gioia durò solo pochi attimi.

A me toccava rimanere con la nonna e lo zio. Mi ritrovai, anche se con una immensa paura, a prendere la decisione che nessuno si sarebbe curato di me e, senza rendermene conto, assunsi il primo onere di portare avanti una "casa da sola".

Nonna Peppina era vecchia e cieca e non usciva di casa per nessuna ragione. Che io ben ricordi uscì solo 5 volte: le prime quattro per i nostri battesimi e l'ultima quando la portarono di peso a Catania nella nostra casa.

Dicevo che, oltre a pensare di aiutare mia nonna anziana, dovevo fare i conti con suo figlio Alfio. Il fratello di mia madre era totalmente opposto: lei generosissima, lui avaro e attaccato al denaro. Non ricordo che m'avesse fatto mai un regalo, tranne un triciclo che vinse alle giostre. Avevo due o tre anni e quel triciclo era il tesoro più prezioso che possedevo e la strada della libertà era tracciata dal perimetro del tavolo di casa. Non durò molto la mia gioia poiché all'ennesimo ci-chi-gi-chi ritmato delle tre ruote mia nonna lo strappò dalle manine e lo sbatté forte nel ciglio di strada, sul marciapiede di pietra lavica. Trascorsi i miei giorni a guardare i pezzi sfatti...

I lunghi pomeriggi del dopo scuola trascorrevano tutti uguali sull'unico tavolo di quella casa, che con il trasferimento di tutta la famiglia, era diventata talmente vuota che affittammo una parte ad una coppia romana. La loro permanenza fu di breve durata.  Quest'altro allontanamento non fece che rafforzare il senso di solitudine.

Anche Don Carmelo, che mi aveva visto crescere giorno dopo giorno fin dalla nascita, assieme a Paolo, suo nipote, aveva trovato moglie. donna Giuseppina. Una povera cristiana mezza muta, vedova e con una figlia di vent'anni che lavorava "a servizio" in una ricca famiglia di Giarre.

Nel tentativo di farsi reciproca compagnia s'erano sposati in quattro e quattr'otto. Questa donna mi sottrasse di colpo quello spazio vitale che da sempre avevo considerato solo mio e di Paolo.

Paolo Borzì il primo compagno della mia vita nel giorno della sua prima comunione

La Prima Comunione di Paolo Borzì

Scoprii così una forma ossessiva di possessività e gelosia tale che m'impediva di accettare di dividere qualunque cosa non fossi io stessa a volerlo. Così la presenza di questa nuova "impostora" turbò l'equilibrio d'amore esclusivo che don Carmelo nutriva per me.

Fortunatamente quel vecchio, caro, unico e insostituibile compagno di vita, fece in modo che la crisi durasse ben poco. Senza che me ne accorgessi fece in modo che nel mio animo fiorissero nuovi interessi nel mentre mi confidava le sue necessità con una spontaneità naturale, anche se per me non era altrettanto facile spiegare quello che mi succedeva dentro: ero troppo giovane e troppo confusa. Non trovavo le parole adatte per dirgli com'erano troppo pochi gli anni che addosso già facevano sentire il peso di trovarmi senza la famiglia naturale.

Come si può spiegare il senso del sentirsi sola e nell'essere "sola" per davvero e nel frattempo attivare tutte quelle vie di fuga per non impazzire e nel contempo farmi carico di una responsabilità troppo pesante per le mie piccole spalle dove poggiavano tutti i miei pensieri. Eppure con molta determinazione superai la mia timidezza. Avevo degli obiettivi da raggiungere: dovevo solo programmare e studiare il metodo per ottenerli. Tutto qui!

Avevo appena compiuto nove anni e feci il primo investimento nel mercato finanziario con le "mille lire" che mia nonna mi aveva regalato.

Dovetti essere, infatti, fortemente convincente quel giorno che avevo deciso di contrarre il mio primo debito. A rate comprai il tanto desiderato "ombrello" per ripararmi dalla pioggia quando andavo a scuola e con le mille lire comprai invece i regali alle mie due sorelle e a mio fratello.

D'allora compresi bene il valore della "credibilità" e fu questo senso del rispetto degli "impegni" assunti che m'accompagno il resto della vita.

Non ritengo di essermi mai ritenuta una "ragazzina ubbidiente", tutt'altro! Ciò che non rientrava nei canoni della mia accettabilità non poteva essere accettato, così come mai accettai le imposizioni che calavano dall'alto. Questa parte di "carattere" determinò parecchie scelte... tante.

Ricordo che con gran fatica indossavo il grembiule scolastico. Odiavo sentirmi costretta dentro "abiti neri".  Il color "nero" in Sicilia rappresenta il senso del lutto, del dolore ed io che studiavo in un collegio da esterna dove la maggior parte delle educande erano orfane... seppur lontano io avevo dei genitori. Eppure questo Istituto per me ha rappresentato il primo vero legame con la "vita", ma anche il primo impatto violento con le realtà istituzionali, con il potere, con la coercizione, con l'ordine, con tutto ciò che in seguito sfuggii diligentemente senza mai abbassare il capo, senza mai accettare compromessi, se quest'ultimi ledevano il senso della mia rispettabilità.

Non è bello avere la consapevolezza di trovarsi, a soli 10-11 anni, ad affrontare da soli gli aspetti peggiori della vita. E fu da sempre che, nel confrontare i miei malesseri con le altre "realtà" trovavo che i miei dispiaceri erano solo piccole nuvole passeggere.   

 

La famiglia d'origine di mia madre era sparuta: nonna Peppina e zio Alfio, mentre numerosissima era quella paterna. In totale "possedevo" tre nonni, 17 zii e all'incirca due dozzine di cugini che, dopo il grande raduno dei festeggiamenti dei 50 anni di matrimonio dei miei nonni paterni non li ho mai visti più tutti insieme. Di tanto in tanto ci si incontrava con qualcuno e, adesso, da tanto ne ho perso le tracce.

 
Tutta la famiglia Ambra al completo. Io sono a finco alla torna, con il foulard al collo. Alle mie spalle la nomma materna

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