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IL PRIMO AMORE

 

Ogni età ha le sue gioie e i suoi dolori

così come ogni stagione

è piena di dolcezza e difficoltà

Se la gioventù appare colorata

è perché la giudichiamo da lontano

attraverso le specchio del ricordo

Se la vecchiaia pare soltanto spine

è perché la giudichiamo

del suo aspetto esteriore

scordandone l'anima.

Per l'anima non esiste età

 

Nella lontana estate dei miei 13 anni fu l'unico periodo d'oro per mia madre. Avevo fatto il cambio con mia sorella Pina, lei era andata dalla nonna ed io ero a casa dei miei per le vacanze estive.

Infatti trascorrevo buona parte della mia giornata in cucina. Chissà quanti perché si fermavano nella sua testa mentre lanciava i suoi sguardi lì, in quel luogo dove non avevo mai mosso un dito per adempiere ai miei doveri di casalinga. Per mia madre, vedere me che trafficavo tra i piatti e pendole era come prendere un terno al lotto: un avvenimento storico. Ecco perché restava stupita e senza parole quando entrava in cucina e mi sentiva cantare.

Tutto poteva immaginare, e forse aveva già rinunziato a capire, ma era proprio un ragazzino, mio coetaneo, la causa di tutto ciò!

Nella piccola mente, ancora da bambina, qualcosa aveva turbato i giovani sensi. Era un ragazzino alto, con i capelli corvini tagliati corti e gli occhiali coprivano i suoi occhi verdi come quelli di un gatto. La sua faccia, bianca come il latte, era frastornata da una miriade di brufoli. abitava di fronte e dalle finestre interne che s'affacciavano nel cortile potevo vederlo.

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Mi sembrava allora una cosa fuori dal mondo fare amicizia con un ragazzo... in fondo avevo ricevuto una rigida educazione e stare alla larga dai ragazzi era la prima cosa che mi avevano insegnato!

Eppure le vacanze estive non duravano a lungo e non avevo voglia di trascorrere il resto del mese a guardarlo soltanto. Questi pensieri, infatti, a poco a poco diventarono sempre più importanti e sentivo che dovevo far qualcosa pur di riuscire a parlargli.

Feci amicizia con Franca la giovane portinaia e nei momenti liberi, quando non ero occupata nelle letture o nelle "faccende domestiche" andavo a farle compagnia nella sua angusta guardiola ed a lei confidavo i miei pensieri. Qualche volta mi capitava di incontrare sua madre, portava sempre in braccio un cucciolo di cane lupo ed io mi fermavo ad accarezzarlo.

Lei, assieme alla sorella Lilly, entrambe di origine svizzere, avevano una bellissima profumeria di fronte al Teatro Stabile Angelo Musco di Catania, allora in Via Umberto dove avevamo la nostra residenza. (Lo stesso locale che nel frattempo diventò il Bar Angelo Musco in cui vent'anni dopo conobbi Benedetto Macaronio).

giorgina.jpg (13915 byte)Questa donna in qualche maniera rappresentava il modello di mamma che avrei voluto avere. Era davvero molto bella. Dai suoi occhi scuri, grandi e buoni traspariva la bontà di un cuore sincero. La sua fronte era pallida e spaziosa ed il suo portamento nobile. Aveva i capelli neri leggermente ondulati sulle spalle e fissati sopra la nuca con un enorme fiocco (allora erano di gran moda).

Ogni volta che la incontravo solevo affondare i miei occhi per potermici specchiare dentro, provavo per lei una sorta di feeling e mi dispiacevo quando leggevo nel suo sguardo i segni della stanchezza. Ciò che percepivo in lei non erano i classici segni della stanchezza fisica era qualcosa che la turbava nel profondo dell'anima. M'intristivano i suoi occhi. Erano velati di tristezza e a volte erano così duri che potevano uccidere.

Al piano soprastante il mio abitava un'altra donna sposata con tre figli e il marito in Africa. Il maggiore dei figli aveva all'incirca 16-18 anni, seguito da una ragazza e Paolo il minore, che in quel tempo aveva due e giocava spesso con mia sorella Silvana. Il fratello di Paolo (adesso non ricordo più come si chiamasse) all'improvviso morì. Credo di un brutto male e lasciò sua madre nella totale disperazione. Mai più, fino alla sua morte, quella donna accettò l'idea d'aver perso il figlio. Nella sua casa - per tutto il tempo che l'abitò - rimase pregna di questa presenza e anche la casa che abitò dopo e dopo ancora.

Quel periodo fu profondamente turbato da questa "scomparsa" non credevo che si potesse morire così giovani. Credevo che la "morte" fosse qualcosa legata alla vecchiaia... la morte è qualcosa che non ho mai accettato neanche con la più grande delle volontà. Ma la cosa non era finita qui.

L'estate era già avanzata ed eravamo quasi alla fine d'agosto e cantavo la canzone in voga in quel momento... con le parole di Little Tony mi dicevo: "lo so verrà la fine d'agosto e poi sarà la fine di tutto... tu ritornerai tra gli amici tuoi e di me... di me ti scorderai...."

In effetti fu un'estate che mai più dimenticai.

A Catania erano stazionari i 35 gradi all'ombra. Si soffocava dal caldo ed io il mare lo guardavo da lontano. Non sapevo nuotare e mi vergognavo andare in "acqua" con la ciambella. Fu una di queste mattine, una come le altre. Preparavo un enorme panino quando bussò a casa Franca, la portiera: "Stanotte è morta la signora Giorgina" (la madre del ragazzo che mi piaceva tanto).

"Cosa" esclamai più che spaventata, turbata. Come potevo accettare che lei se ne era andata. Mi passò la fame e per tutto il giorno non riuscii a buttare giù un boccone. Non ero mai riuscita a dirgli di più del "buon giorno" o sera che fosse, per me era un'estranea, una che conoscevo appena eppure le ero tanto affezionata. Ancora una volta mi ritrovai ad affrontare l'argomento "morte" diventando una sua acerrima nemica.

I miei pensieri corsero subito al figlio, rimasto orfano a soli 13 anni. Conoscevo tante ragazze orfane e adesso me ne trovano un altro.

Claudio aveva un fratello maggiore di 10 anni, un padre e due nonni ma non avrebbe avuto più il conforto di una madre: bene insostituibile a questo mondo. Questo dolore che provavo nel petto si spandé con le sue maglie ancor più in profondità quando vidi per la seconda volta una lunga e larga auto nera portarla via dentro una bara.

2.jpg (18519 byte)Non trascorse molto tempo dalla sua morte che una notte feci u sogno alquanto strano. Mi ritrovai ad essere spettatrice di una discussione che stava avvenendo tra la signora Giorgina e il figlio Claudio.

o non riuscivo ad ascoltare quello che si dicevano ma avevo la sensazione che il ragazzo chiedesse consiglio alla madre sulla scelta che aveva fatto per una ragazza (io) e nel frattempo le porse una lettera che gli avevo scritto.

La madre finì di leggere il foglio e gli disse che era felice per la sua scelta e con un'aria contenta s'allontanò, lasciandolo da solo.

Il sogno non si concluse qui. Così proseguì.

Non era un luogo ben preciso dove mi trovavo. Vidi la signora venirmi incontro. S'avvicinò parlandomi con voce dolcissima... Mi disse che era felice di lasciare a me suo figlio perché lei doveva andare lontano e non sarebbe più ritornata e, mentre con molto affetto mi salutava, concluse dicendomi" «Guarda in cielo, figliola, cerca una stella, la più  luminosa. Sarò io che dall'alto veglierò sul tuo camino».

"Che stupida", mi dissi la mattina dopo svegliandomi. "In fondo è stato solo un sogno, come puoi pensare che quel ragazzo ti è stato "affidato"... nemmeno lo conosci. Ragionamenti di questo genere ne feci a più non posso. Erano trascorsi tre o quattro giorni quando decisi di scrivergli sul serio. Scrivergli la famosa lettera... ma cosa gli avrei detto, cosa avrei scritto? Come gli avrei potuto manifestare quegli innocenti timori che scoprivano il palpitare dei sensi.

Quel volto fanciullo apparì come un prezioso raggio che illuminava ogni angolo dell'esistenza... ed ero stanca di sorprendermi a fantasticare puntando gli occhi al soffitto. La prima cosa che pensai fu che non era affatto carino "fare una dichiarazione ad un ragazzo" ...e se gli scrivessi una lettera anonima?

Finalmente optai per quest'ultima soluzione e quando fu "stilata" la chiusi in una busta e, ben incollata, la consegnai a Franca pregandola di dargliela non appena l'avesse visto.

Dalla finestra della cucina lo vidi mentre rientrava a casa. Aveva il viso turbato mentre apriva la busta. Tutte le volte passava sotto il mio naso senza accorgersi che lo guardavo. Forse fu per quella lettera che qualche giorno dopo iniziò a seguirmi per strada. Trascorse un'altra settimana di scambi di sguardi quando c'incontrammo davanti al portone di casa. Facendo finta che non riusciva ad aprire mi chiesi se avessi la chiave. Compresi che quella era l'occasione buona per attaccare discorso.

 

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Strane,
le follie d'amore
sorte in fondo
delle tenebrose vie
che tramutano tutto
in splendido sentiero.

Lascia che io riviva
ancora quel giorno.
Lascia che la penna
scriva ancora
guidata da malinconia.
La gioia che m'hai dato
nessuno può portarla via.

 

Finalmente conobbi il suo nome ma il mio timore era che lui avesse tirato fuori "la lettera".

Per fortuna che non fece altrimenti sarei morta di vergogna. Iniziammo ad uscire tutti i pomeriggi e sempre più ero fermamente convinta che tra noi fosse nato qualcosa che sarebbe stato destinato a diventare grande. Le cose belle, purtroppo, durano poco.

L'estate era del tutto finita e l'apertura delle scuole era alle porte. Questo significava che avrei lasciato

Catania, che sarei tornata ad Acireale.

Ci promettemmo, però, che ci saremmo scritti tutti i giorni.

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© copyright Akkuaria 2002